Quello che sappiamo è che i suoi abitanti costruirono una cinta muraria tufacea sulla sommità di una rocca naturale, posta a guardia di un fiumiciattolo, il Rivus Albanus, o come è conosciuto oggi, il Fosso di Malafede. È uno schema comune, che si ripete infatti proprio nell’abitato precedentemente citato e oggi identificato con l’antica Tellenae; secondo gli studiosi infatti, il Latium Vetus doveva essere caratterizzato da una moltitudine di cittadelle fortificate, poi inglobate dalla potenza nascente di Roma e “riciclate” in roccaforti a guardia dell’Urbe. Fu ciò che probabilmente avvenne anche qui, nell’abitato di Castel di Decima; così sembrano testimoniare, infatti, i ritrovamenti databili all’epoca repubblicana. Ma le scoperte più interessanti le riserva la necropoli, dove è stato ritrovato un corredo principesco, composto di un pettorale di bronzo, una fibula d’argento, due spade – di cui una con guaina intarsiata d’ambra – punte di lance, tre scudi, un frontale per un cavallo ed un carro da combattim
nto, oltre che numerosi vasi di bronzo. Un’altra tomba femminile ha rivelato invece numerosi gioielli d’oro e d’ambra. Reperti che lasciano quindi a bocca aperta per la loro raffinatezza e che rivelano anche un’origine lontana (molto probabilmente fenicia).
Nella campagna limitrofa oggi pascolano le pecore. Qua e là delle quaglie si alzano in volo. È lo stesso panorama agreste che quegli abitanti, da lassù, da quella rocca, dovevano ammirare ogni giorno.
Scendendo da via Clarice Tartufari si incontra oggi il Castello di Decima. Proprio qui doveva sorgere, secondo gli studiosi, una villa romana e qui, nell’alto medioevo, fu costruita la fortificazione che in un documento del 1081 è chiamata “Castrum pontis Decimi”. Il quale, a sua volta, attualmente, è circondato da ville (moderne). “Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. E forse allora sì, questo principio lo avevano intuito anche nostri antenati romani.
Di Gabriele Rizzi