Un clima di poveri contro poveri, ormai, dove a volte avere solamente un lavoro più o meno stabile sarebbe una “colpa”, da vera e propria fine dell’Impero romano, dove ormai manca ogni cooperazione civica e umana tra la popolazione, dove ognuno pensa solo a sé stesso.
Quando Roma fu presa a sacco dai Vandali nel 410 d.C. essa era solo l’ombra della gloriosa capitale imperiale: le casse dell’Impero d’Occidente erano vuote, scialacquate da una corte sempre più corrotta, la quale sarebbe arrivata ad uccidere decenni dopo l’ultimo eroe romano, il generale Ezio, per paura che potesse dare il via a una rivoluzione politica. L’esercito era allo sbando, composto soprattutto di unità di “foederati” barbari, perlopiù Visigoti, che spesso non venivano retribuiti adeguatamente, tenuti calmi solo dal loro comandante, il grande Stilicone.
Ma quando Stilicone morì nel 408 la rabbia dei Visigoti esplose: decisero di marciare su Roma, a prendersi quello che spettava loro, e nel 410 varcarono le porte della città, dando inizio al sacco. Sacco nel quale, però, i Visigoti non toccarono i luoghi sacri per ordine del loro re Alarico, anche se si narra che ci fu un terribile massacro della popolazione e la distruzione quasi totale dell’Urbe.
Sebbene avesse ancora una popolazione di circa 800mila abitanti, la città non era più da tempo la capitale, trasferitasi nella più tranquilla Ravenna, con l’imperatore Onorio che quasi ne ignorava l’esistenza, tanto che si dice che alla notizia che Roma fosse caduta questi abbia risposto: “Ma se è qui davanti a me!”, riferendosi alla sua gallina domestica, che si chiamava anch’essa Roma. Una città ormai degradata, senza più i servizi basilari, nemmeno le forze di polizia.
Uno scenario agghiacciante, in cui noi per fortuna non viviamo, ma che, se non facciamo subito qualcosa, potrebbe presentarsi a noi, presto o tardi.
Di Simone Pacifici