Le neuroscienze entrano in tribunale

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito alla scalata scientifica che le neuroscienze cognitive hanno conosciuto. Lo sviluppo dello studio delle basi neurobiologiche riguardo le abilità mentali come linguaggio, ragionamento, intenzione, memoria e percezione.

 L’osservazione riguarda la relazione che intercorre tra attività cerebrale e abilità mentali, valutate dai neuroscienziati cognitivi con tecnologie di neuroimaging funzionale che misurano il metabolismo del cervello. La novità consiste nell’uso di tali tecniche nelle aule dei tribunali, sia negli Stati Uniti che in altri paesi. Tra questi anche l’Italia. 
È necessario a tal proposito domandarsi quale influenza hanno le tecniche di neuroimaging funzionale nei procedimenti penali e quale affidabilità scientifica hanno tale tecniche nel confine tra neuroscienze e legge? A tale quesito cito come risposta le parole di Sofia Moratti, del Research Associate nel Law Department dello “European University Institute” di Firenze, esperta di scienza e diritto e di neurodiritto. La Moratti afferma : «L’idea di responsabilità personale colpevole è uno dei capisaldi del diritto penale moderno. Senza la nozione di responsabilità personale colpevole, il diritto penale non è pensabile, neppure intuitivamente; perlomeno non per chi è nato e cresciuto in una cultura e in un’epoca come le nostre. Penso che l’idea che sia legittimo condannare e punire solo dove vi sia responsabilità personale faccia ormai parte in modo troppo profondo delle nostre intuizioni morali perché la si possa scardinare. Anche se si riuscisse a dimostrare empiricamente l’infondatezza scientifica dell’idea di responsabilità personale, le funzioni della pena sono molteplici: la pena può essere anche strumento di controllo sociale».
«Nel 1993, con la sentenza Daubert vs. Merrell Dow Pharmaceuticals, la Corte Suprema statunitense ha deliberato che la prova scientifica è ammissibile nel processo solo se lo studio scientifico su cui la prova si basa soddisfa alcune condizioni». Le condizioni sono quattro. (1) Ripetendo lo studio, è possibile replicare i risultati ottenuti? (2) Lo studio è stato oggetto di pubblicazioni peer-reviewed? (3) Il tasso di errore dei metodi utilizzati è accettabile? (4) Le conclusioni dello studio sono generalmente accettate nella comunità scientifica? Nel 2010, una sentenza di Cassazione ha di fatto introdotto questi criteri anche nell’ordinamento italiano, offrendo alle neuroscienze cognitive il piatto d’argento su cui creare una nuova modalità di giudizio nei processi penali e dando l’opportunità di ‘scientificizzare e oggettivizzare’ la mancanza di osservazione della legge.
di Sofia Diana

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