I sintomi più frequenti sono tremor degli arti superiori, rigidità muscolare, freezing (una condizione di congelamento dell’iniziativa della motricità) e difficoltà di coordinamento del proprio corpo; sintomi di minor tangibilità ma di massima influenza sono quelli cognitivi che coinvolgono le funzioni dei lobi frontali, il set shifting, la capacità di giudizio, linguistiche, di calcolo, mnesiche e soprattutto sono intaccate le capacità di programmazione, problem solving e strategie.
I sintomi hanno un’età media di esordio dei 60 anni circa, nonostante a volte può manifestarsi anche prima dei 40.
L’ultima ricerca ha avuto un risultato sorprendente: è stato scoperto il meccanismo di una proteina ‘Parkina’ la cui assenza provoca morte della trasmissione dopaminergica dei neuroni responsabili i quali hanno un ruolo centrale nella capacità di coordinazione dei movimenti, dunque il principale deficit nella patologia di Parkinson. Responsabili di tale scoperta scientifica sono i ricercatori dell’Istituto di neuroscienze (In-Cnr) di Milano, coordinati da Maria Passafaro, in collaborazione con colleghi dell’Istituto auxologico italiano di Milano, diretti da Jenny Sassone
“La causa più frequente della forma giovanile del Parkinson sono le mutazioni in un gene nominato Park2, il quale codifica per la parkina, ossia contiene le istruzioni su come ‘costruire’ la proteina”, spiega Maria Passafaro. “Le mutazioni alterano la trasmissione del glutammato, il neurotrasmettitore amminoacido più diffuso nel sistema centrale nervoso, e possono indurre la morte nei neuroni dopaminergici della sostanza nera, situata nel mesencefalo, tramite un meccanismo molecolare chiamato eccitotossicità”.
Tale scoperta è di fondamentale importanza perché permette di lavorare su strategie di rallentamento del meccanismo fisiologico e molecolare della degenerazione neuronale a carico di tale malattia e l’intervento precoce a livello farmacologico sul recettore al fine di avere un cambiamento non solo nel controllo dei sintomi ma anche nel rallentare il processo neurodegenerativo nel PK.
“La parkina, infatti, sembrerebbe interagire con uno specifico recettore glutammatergico (il recettore ionotropico per il kainato Kar) e ne regola l’espressione, cioè la presenza nei neuroni, tramite un processo conosciuto come ubiquitinizzazione”, prosegue la ricercatrice dell’In-Cnr. “Nei pazienti con la mutazione del gene Park2 si verrebbe a perdere la normale funzione della parkina con conseguente accumulo patologico del recettore Kar, che causa un incremento di concentrazione di glutammato nei neuroni, alterando così l’attività sinaptica e conducendo le cellule alla morte”.
Di fondamentale importanza è il contributo dato dall’Istituto italiano di tecnologia di Genova, il Dipartimento di bioscienze dell’Università di Milano, l’Università di Bordeaux e il Dipartimento di neurologia della Università di Juntendo di Tokyo, diretto da Nobutaka Hattori il quale permise la scoperta della mutazione del gene Park2.
di Sofia Diana