“Se la psicologia piange, le neuroscienze non ridono”. Con questa frase comincia un articolo pubblicato sulla rivista LeScienze nel numero di giugno 2013.
L’articolo mette in risalto come all’interno delle discipline che studiano il cervello e la “mente” umana, la psicologia abbia sempre avuto difficoltà nel far riconoscere i propri risultati alla comunità scientifica. Meno problemi hanno avuto discipline come le neuroscienze e la neuropsicologia che studiano la struttura cerebrale, il suo funzionamento e come le sue alterazioni influenzino il comportamento.
Una ricerca recente di Katherine Button, della Scuola di Psicologia sperimentale di Bristol, mette in discussione le capacità di predizione statistica delle neuroscienze: studiando i risultati di 730 ricerche si è riscontrato un potere statistico del 20%. Cosa significa? Significa che se si ricerca un’associazione tra un’anomalia cerebrale e un disturbo mentale o cognitivo, questo si verificherà solo in 20 casi su 100, nei restanti 80 non si sarà in grado di trovare un nesso. Lo studio ha dato la colpa al basso numero di casi (pazienti) utilizzati nelle ricerche che inficia la validità statistica e non ha preso in considerazione le altre fonti di errore che peggiorerebbero lo scenario. Button propone, come possibile rimedio, di utilizzare campioni più grandi costituendo studi collaborativi tra i diversi gruppi di ricerca.
Oltre a questo, come possiamo dare il giusto valore agli studi e alle speculazioni delle scienze dell’uomo e del cervello?
di Andrea Poliseno