Convenzione di Istanbul: NO alla violenza contro le donne, il SÌ dell’Italia

L’Italia ha ratificato all’unanimità la Convenzione di Istanbul: 81 articoli per prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica.

La “Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”, chiamata comunemente Convenzione di Istanbul, è stata ratificata il 19 giugno dal Senato, che ne ha approvato il testo con voto unanime: il disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione fa dell’Italia il quinto paese del Consiglio d’Europa – i primi quattro sono Turchia, Portogallo, Albania e Montenegro – a ratificare il testo legislativo approvato dal Comitato dei ministri dei paesi aderenti al Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 e aperto alla firma dall’11 aprile 2011. Firmata a Strasburgo il 27 settembre 2012 da Elsa Fornero, l’allora Ministra con delega alle Pari Opportunità, la Convenzione internazionale è diventata a tutti gli effetti legge italiana, ma per essere applicata si dovrà attendere una ratifica da parte di almeno dieci Stati (di cui almeno otto dei quarantasette facenti parte del Consiglio d’Europa): una vera sfida mondiale, se si pensa che la Convenzione non è ancora nemmeno stata presa in considerazione da Paesi come USA, Giappone, Russia, Canada, Svizzera e altri Stati membri dell’Europa. 
La Convenzione di Istanbul rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, che crea un quadro giuridico completo per eliminare qualsiasi forma di violenza e discriminazione contro le donne, promuovere la reale parità tra i sessi e predisporre politiche e misure di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza di genere e domestica, attraverso la cooperazione a livello internazionale per il sostegno e l’assistenza a organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in questo ambito.
Il testo, sviluppato in 81 articoli suddivisi in dodici Capitoli, include argomenti innovano la tradizione dei testi legislativi, introducendo numerosi elementi sui quali vale la pena soffermarsi. Le innovazioni del testo partono fin dal Preambolo, nel quale si parla di «uguaglianza di genere de jure e de facto» come elemento cardine per prevenire la violenza, di genere e domestica: considerando la violenza contro le donne come una «manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi» e riconoscendo che «la violenza contro le donne è uno dei meccanismi cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette ad una posizione subordinata rispetto agli uomini», la Convenzione riconosce immediatamente tutti i tipi di violenza contro le donne come «grave violazione dei diritti umani […] e il principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi», e dunque come un atto che costituisce una forma di discriminazione e che come tale va trattato in sede di giudizio. 
L’articolo 3 definisce in sei punti (a – f) le espressioni  “violenza nei confronti delle donne”, “violenza domestica”, “genere”, “violenza contro le donne basata sul genere”, “vittima”, “donne”: le definizioni chiarificano e spiegano fenomeni sociali tristemente noti, lasciando così ben poco spazio a possibili interpretazioni dottrinali, e ponendo le basi per una designazione più consapevole di realtà che soprattutto negli ultimi mesi riempiono le pagine delle nostre testate giornalistiche. Procedendo a condannare ogni forma di discriminazione in generale, e nello specifico dei confronti delle donne, la Convenzione esorta ad attuare politiche globali e coordinate, destinate a prevenire e combattere ogni forma di violenza: il testo propone di sensibilizzare ed educare ad una società libera dagli stereotipi di genere, non solo stanziando risorse finanziare ed umane volte all’attuazione di politiche destinate ad opporsi alla violenza contro le donne, ma anche sostenendo l’importanza dell’inserimento nei programmi didattici di materiali sui temi della parità tra i sessi, il rispetto reciproco, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti.
Nel testo si trovano indicazioni per la protezione e il sostegno delle vittime di atti di violenza (assistenza in materia di denunce individuali/collettive, servizi di supporto specializzati, case rifugio, linee telefoniche di sostegno, supporto alle vittime di violenza sessuale, protezione e supporto ai bambini testimoni di violenza), definendo di questi ultimi le varie nature: violenza psicologica, atti persecutori (stalking), violenza fisica, violenza sessuale (compreso lo stupro), matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto forzato e sterilizzazione forzata, molestie sessuali. Escludendo la cultura, gli usi e costumi, la religione e il cosiddetto “onore” dallo spettro delle possibili giustificazioni dei reati, la Convenzione prevede che vengano attuate misure di protezione nei confronti delle vittime e dei testimoni in tutte le fasi delle indagini e dei procedimenti giudiziari in essere: in particolare negli articoli 59, 60 e 61 si chiariscono diverse fattispecie legate alla migrazione, all’asilo, allo status di residente delle vittime di violenza domestica e al loro diritto di non-respingimento.
Numerosi dunque gli spunti di riflessione, e di ancor più ampia portata le implicazioni sociali che derivano dalla ratifica di questa Convenzione, testo che aspira «a creare un’Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica». Rendere possibile l’evoluzione della società civile vuol dire permettere l’evoluzione dell’uomo e della donna, esseri sociali per eccellenza.
di Annalisa Bifolchi 

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